Nel regno delle nevi del Velino. Uccettù, P.Zis ed il M.Morrone

Una brevissima finestra di tempo soleggiato e stabile dopo tanta pioggia costituiva l’ultima occasione dell’anno per tornare in montagna; il periodo festivo permetteva di potersi assentare dal lavoro per una uscita infrasettimanale ma, ironia della sorte, per lo stesso motivo e quindi con le famiglie riunite intorno al desco non lo permetteva al nostro Mr Spit. Una indisposizione dell’ultimo momento bloccava l’altro Giorgio (GdF) per la cronaca, mentre Alessandro si faceva intimorire dalle previste condizioni di freddo polare e di tramontana in cresta. Max, Diego ed Elena non si son fatti vivi. Non rimanevamo che io e Luca. Il programma dell’escursione è stato variato all’ultimo momento; dalla Laga ci siamo spostati nel gruppo del Velino per non consumare ancora vette inviolate e lasciare a bocca asciutta gli altri membri del gruppo; ricordavo un giro meraviglioso intorno al Morrone che avevo compiuto un paio d’anni prima in una piovosa giornata autunnale. Per Luca le montagne della Duchessa era territorio esplorato solo dalle cime limitrofe, per me era giunta invece l’occasione migliore per tornare a far visita, questa volta in versione invernale, a quelle creste che tanto stupore mi avevano destato la prima volta. Ce la siamo presa comoda; appuntamento alle 6 meno un quarto, la vicinanza del gruppo del Velino lo permette, puntuali come sempre. Un caffè in autostrada, e poco dopo un’ora dalla partenza eravamo già pronti per scarpinare. Punto di partenza l’imbocco della Valle dell’Asino, proprio sotto l’ingresso della galleria autostradale di San Rocco; si raggiunge dal paese di Corvaro, prendendo una delle prime vie (dei campi sportivi) prima di entrare in paese. Erano le 7 e 25 quando ci siamo incamminati, ancora con la stenta luce di un’alba che tardava ad infilarsi nella gola incassata. Subito, dopo nemmeno un chilometro di percorso, la prima sorpresa: il sentiero, una ampia carrareccia carrozzabile si era trasformata in una distesa di grossi massi, completamente disconnessa tanto da rendere lento e problematico anche l’avanzamento a piedi. In equilibrio precario, passando da un masso all’altro e scantonando nel bosco quando possibile, dopo forse un chilometro scopriamo il perché di tanto sconvolgimento: il corso del piccolo torrente che scorre a lato del sentiero ha avuto una deviazione. Evidentemente l’argine deve aver ceduto alla pressione dell’acqua ed il sentiero è diventato il letto principale per lo scorrimento a valle dell’acqua. Occorrerà tenerlo presente per i periodi primaverili di sciolglimento delle nevi, quando l’eccesso di acqua impedirà di certo il passaggio. Ritornati in possesso di un sentiero agevole, anche se ora ammantato di neve dura e consistente abbiamo ricominciato a marciare veloci; al contrario delle previsioni il freddo non era pungente, bastava l’esercizio del camminare per non aver bisogno dell’abbigliamento ingombrante. Filiamo , giriamo a sinistra all’incrocio per il sentiero che porta ai rifugi delle Vene, lo percorreremo al ritorno, e abbandoniamo il nostro nel curvone del Mercaturo. Oltre la salita al San Rocco ed al Cava. Ora il sentiero è un fondo vallivo, un rado bosco affascinante, con le guglie delle prime creste ormai a far capolino tra gli alberi spogli. Proseguendo abbandoniamo il fondo valle per guadagnare gradatamente il versante ovest, quello del Monte Ginepro. Lentamente saliamo di traverso per carcare di trovarci già in quota quando entreremo nella conca tra il Morrone e l’Uccettù. La guglia che ci si para davanti, che poi non è altro che l’ultimo tratto di cresta dell’Uccettù ci calamita l’attenzione e quasi senza accorgecene ci attira a se. La via normale sale a destra della cresta dell’Uccettù, noi siamo saliti invece sulla sella alla sua sinistra. Mai scelta è stata migliore; dalla sella l’affaccio verso la placida conca dominata dalla Torricella regala una pace raramente provata; inondata dal sole in completa assenza di vento il paesaggio rasenta la perfezione da cartolina. Sulla destra, dove deve continuare il nostro percorso, la cresta si alza repentina, in alto le roccie chiedono spazio alla neve. Con Luca è solo una questione di sguardi; l’aggrediamo ma a mezza costa siamo costretti a montare i ramponi. Dopo è solo una questione di un passo avanti l’altro, solo, come al solito l’ultimo gradino, si fa conquistare con un po’ di fatica. La neve non proprio assestata non aiuta la presa dei ramponi, per fortuna qualche roccia sporgente assicura gli appigli necessari per venirne fuori. Sono solo le mani nel gelido contatto con la roccia e con la neve a soffrirne un po e proprio il gelo, autentico tallone d’Achille per Luca, lo fa imprecare non poco con le mani ridotte a due gonfi immobili ed inutili monconi. Un paio di guanti asciutti risolve immediatamente il momento difficile. Siamo in cima ormai, inondati di sole, con la cresta della Cima Zis davanti, lunga e spavalda e le tante morbide dorsali dell’Uccettù ad invitarci ad un lento percorso da montagne russe fino alla conquista della vetta principale. E’ basso l’Uccettù con i sui 2006 metri, ma permette di dominare tutto l’Appennino a nord. La Valle dell’Asino convoglia lo sguardo verso la sempre sorprendente mole del Monte Vettore. Imponente, vicinissimo tanto la pulizia dell’aria lo fa sentire; dietro l’Orsello sbuca il Corno Grande, non poteva mica mancare, ma lo spettacolo assoluto era la valle del Lago della Duchessa, il lago ghiacciato e dietro, come una enorme torta di panna la mole impressionate del Velino; gradatamente il pendio sopra il lago sale verso Cimata di Macchia Triste ed il Murolungo e con assoluta continuità dovuta all’appiattimento del paesaggio assolato sale ancora verso il Sevice e la piramide perfetta del Velino. Un controluce da togliere il fiato. Sarà il paesaggio che dominerà l’intera salita al Morrone. Non percorriamo la cresta per salire a Cima Zis, ci teniamo di traverso nella pagina nord della montagna e gradatamente col minimo sforzo guadagniamo quota e la cima. A strapiombo sul catino glaciale del Morrone, la raggiungiamo alle 12 e 25; una croce in alluminio è stata posta nel primo dei due torrioni gemelli di vetta; il gruppo di Zaini in spalla ha voluto evedintemente consacrare la loro montagna. Aria Sottile dovrebbe imitarli nel cercare di lasciare una traccia tangibile nelle tante ormai consegnate al panorama appenninico locale. Ora la montagna è più austera; la parete verticale del secondo torrione lo dobbiamo aggirare scendendo un po nella pagina sud della montagna tanta è la verticalità fino alla sella ma il resto è solo una lunga camminata in cresta verso la cima principale del gruppo. Ricordavo la parte culminante della cima del Morrone affascinante per la presenza di tante roccie affioranti; con la neve la sua conquista è ancora più intrigante. Costretti a scegliere percorsi innevati vista la necessità di mantenere i ramponi ai piedi, la salita finale è stata una ponderata scelta di persorsi e cumuli di neve riportati dal vento. Girovagando tra le roccie, lentamente, guadagniamo metri e dislivello; passiamo accanto ad enormi massi in eterno equilibrio con la gravità, qualche facile passaggio di arrampiacata e alle 13 e 30 sbuchiamo in vetta. La piramide posta dal CAI è scoperta, i grossi massi invece quasi invisibili dalla tanta neve presente; la giornata si è mantenuta perfetta. Ci ha favorito per una lunga piacevole sosta in quel balcone privilegiato sul mondo. E’ impossibile descrivere il mondo da li. Semplicemente, data anche la particolare limpidezza dell’aria, tutti gli Appennini Nord ed Est e quelli a Sud Ovest erano a mostrarsi immensamente belli. Solo parte delle montagne del Parco ed il Sirente ci erano vietati dalla mole del Velino, e dietro il Costone sbucava timidamente anche la Majella. Ma eravamo a metà del percorso, ci rimanevano solo tre ore di luce chiara per la discesa ed anche se controvoglia dopo una mezz’ora di autentica felicità siamo dovuti ripartire. Ci siamo buttati, ripetendo l’identico percorso di due anni prima verso i rifugi delle Vene. La pagina della montagna ben innevata, di una neve solida e facile da calpestare ci ha fatto precipitare a valle e nonostante le tante soste per catturare i meravigliosi controluce di una montagna bianca che faceva a gara per risaltare col blu del cielo in meno di mezz’ora abbiamo raggiunto la valle dei rifugi. Senza ulteriore sosta ci siamo infilati nel sentiero. Ben innevato e senza pendio ripido ci siamo liberati dei ramponi e l’avanzare è diventato passeggiata, già a commentare le tante immagini e i tanti momenti vissuti nella mattinata. Quaranta minuti, con passo veloce, ci sono voluti per ritornare all’incrocio col sentiero descritto nel percorso della mattina, e da li in un’ora, combattendo con la devastazione dell’ultimo tratto del percorso siamo giunti di nuovo alla macchina. Erano le 15 e 45; una giornata lunga più di otto ore di cammino, tra valli inserrate, boschi spogli e gelati, riflessi dei cristalli di neve ai primi raggi del sole, candele di ghiaccio a mostrare i denti del freddo e controluce pazzeschi sotto i raggi del sole più potenti delle ore centrali. Creste verticali e paesaggi immensi a perdita occhio in eterna competizione tra le dominanti del bianco incontaminato della neve e l’azzurro profondo del cielo. Il resto la ha messo la passione. La passione condivisa di due amici persi in traiettorie a volte casuali all’interno di un territorio magico ed assolutamente da difendere. Il 2010 si è chiuso con una entusiasmante giornata di montagna. L’augurio per tutto il gruppo Aria Sottile e per tutti i gruppi cugini che ormai popolano gli Appennini è per il 2011; che sia pieno, ricco di uscite e che siano il più possibile frequentate da tutti. La montagna è bella ed unica, ma vissuta insieme diventa una esperienza sublime. Buon 2011 a tutti e buona montagna a tutti.